Una commedia nera dall’inferno di una famiglia

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Fine famiglia è la storia di una famiglia italiana nella sua più dannosa e nefasta accezione, partitura di corpo e parole sull’inadeguatezza collettiva, dove l’esaurimento degli errori possibili non lascia più spazio alle relazioni umane.
Fine famiglia è un rito natalizio di separazione. Una festa che si celebra per la fine di un’istituzione, la famiglia italiana, votata al fallimento; un luogo asfittico dove per quanto si aprano le finestre, l’aria resta intrisa di sugo e rancore.
Dopo anni di reciproche angherie, una famiglia normale giunge al livello massimo di sopportazione reciproca. I quattro decidono di comune accordo, posseduti da inaspettato buon senso, così poco italiano, di troncare ogni rapporto e scelgono la sera di Natale per salutarsi per sempre. La serata non va come previsto e uscire dalla stanza una volta per tutte si rivelerà più complicato di quanto non si creda.

Credits

Fine Famiglia

di Magdalena Barile

Regia: Aldo Cassano
Con: Matteo Barbè, Natascia Curci, Nicola Stravalaci, Debora Zuin
Assistente regia e musiche: Antonio Spitaleri
Allestimento scenico: Petra Trombini
Costumi: Lucia Lapolla
Luci: Fabio Bozzetta

Produzione Animanera

Con il sostegno di: Fondazione Cariplo – Comune di Milano – PiM Spazio Scenico
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Press

Myword.it - Renato Palazzi Fine famiglia della giovane drammaturga Magdalena Barile è una commedia acre, graffiante che il gruppo milanese Animanera ha proposto per poche sere al PiM Spazio Scenico, nel capoluogo lombardo: vi si rappresenta, con toni amenamente crudeli, la metaforica presa d'atto di un nucleo famigliare che si è accorto di non potere più sopravvivere come tale. I suoi quattro componenti, il padre debitamente ottuso, la madre eterna casalinga, la figlia disincantata e il figlio gay, hanno civilmente deciso di dividersi, di non vedersi più per il resto delle loro vite. Ma riusciranno in questo intento liberatorio? Il finale, molto "italiano", lascia in effetti qualche dubbio.
Il testo, costruito intorno a un'idea intelligente, quella di un rito del disfacimento, di una cena di Natale dell'addio, è ferocemente brillante, gioca con arguzia sui luoghi comuni e non lesina le battute esilaranti. Non è, in assoluto, la cosa più originale che si sia vista su questo tema frequentatissimo - da Natale in casa Gori di Alessandro Benvenuti a Giochi di famiglia di Biljana Srbljanovic - ma funziona. E lo spettacolo, realizzato da una compagnia che di solito si dedica a provocatorie performance, è aguzzo e raffinato, e intreccia abilmente la recitazione con l'azione fisica, spinta quasi ai confini di uno stralunato balletto.
Se ne parliamo, anche dopo la conclusione delle repliche, è tuttavia per un'altra ragione, che non sembra avere molto a che fare con le sue qualità oggettive: è per il sorprendente successo che ha riscosso, per il divertimento convinto, per le risate ininterrotte che ha suscitato, anche al di là - se si può dire - dei suoi effettivi meriti espressivi. Un divertimento, va aggiunto, manifestato da un pubblico particolare, il pubblico dei nuovi gruppi, delle esperienze più avanzate, che a teatro non va in genere per divertirsi. E allora il dato trascende la sfera del giudizio estetico, e indica forse un piccolo fenomeno di costume.
Senza voler dare troppa importanza a un episodio, il messaggio che arriva è, grosso modo, questo: va bene la ricerca, vanno bene le performance trasgressive, ma adesso lasciateci rilassare. Posso sbagliare, ma questi segnali, di per sé né buoni né cattivi, non vanno però trascurati, perché segnano spesso degli impercettibili mutamenti di rotta: come avvenne, alla fine degli anni Settanta, coi monologhi scritti da Umberto Simonetta per Livia Cerini, Mi riunisco in assemblea, Sta per venire la rivoluzione e non ho niente da mettermi, a cui Fine famiglia mi fa un po' pensare: più o meno belli che fossero - divennero uno spartiacque, il passaggio dall'epoca della militanza politica alla "scoperta" dell'ironia e della satira. Una svolta da cui non si sarebbe più tornati indietro.

Corriere della Sera - Magda Poli È il tono scorrevole e ironico a colpire nello spettacolo «Fine famiglia» di Magdalena Barile portato in scena da Aldo Cassano con una regia inventiva. Tono leggero per un argomento serio quello della disgregazione di una famiglia o il racconto di un malessere diffuso: il microcosmo riflette il macrocosmo, la famiglia è malata e i quattro protagonisti, i bravi Debora Zuin, Natascia Curci, Nicola Stravalaci e Matteo Barbè, ne sono la testimonianza. In scena un oggetto emblematico una cucina economica, il focolare, siamo a Natale e la festività con la sua falsa atmosfera di pace e normalità fa scoppiare rancori, sopraffazioni, egoismi, incapacità di comunicare, di amare, di condividere. Un universo senza l' ossigeno e la decisione è rompere il nucleo, ma non sarà facile. La madre è una suscitatrice di sensi di colpa a getto continuo, una ricattatritice affettiva sempre pronta a far vedere la sua ipocrita dedizione, che poi è amor di sé al grado più alto. Il padre è assente psicologicamente, affettivamente, fisicamente, lui lavora, ha le sue scappatelle, e poco altro gli importa. La figlia è incapace d' amarsi e d' amare, alla ricerca di se stessa come il confuso fratello. E questa partitura leggera per un argomento pesante si dipana, con qualche ingenuità, per mostrasi nella sua infelice e normale verità.

Rumor(s)cena - Roberto Rinaldi Perverso gioco di incastri relazionali, rese vivaci ed esilaranti dall’abile regia di Aldo Cassano capace di creare spunti interessanti, anche per una seria riflessione. Fine Famiglia si basa su una girandola vorticosa di azioni, sempre al limite del paradosso comico ma dove non è difficile scovare riferimenti ad una natura umana, incline a farsi del male e spesso combattuta tra sentimenti di odio e di amore che se poi ci guardi dentro sono complementari e simili. Sono le battute feroci e sarcastiche del testo drammaturgico di Magdalena Barile a far risaltare le provocazioni messe in atto da un quartetto di attori strepitosamente bravi nel caratterizzare i loro “diabolici” personaggi...

Metrospettacoli Milano - Patrizia Pertuso Un padre. Una madre. Un figlio. Una figlia. Insomma, una famiglia come tante altre. I quattro protagonisti di “Fine Famiglia”, in scena al CRT Salone sino a domenica, sono legati da un unico filo: dopo la cena di Natale non si vedranno più. Mai più. Così, fra inserti musicali spassosissimi e una recitazione di grande spessore ironico, la tragedia diventa una fantastica commedia, spietata e divertente. I personaggi si muovono su un pavimento a scacchiera, su percorsi ben precisi, ma sempre – rigorosamente – sulle pattine. Gli abbracci diventano morse dalle quali è impossibile liberarsi. E le parole d’amore non sono altro che frecce acuminate che si scagliano contro tutti. Gli attori sono assolutamente strepitosi e la regia di Aldo Cassano è tagliente al punto giusto. Assolutamente da vedere..

Renato Gabrielli.it - Renato Gabrielli Famiglie in commedia. I personaggi descritti da Magdalena Barile sono silhouette il cui contorno è definito da ossessioni pseudo-erotiche, ghiribizzi nevrotici, comiche fobie; spesso capaci, nel contorcersi e frantumarsi di un linguaggio solo in apparenza quotidiano, d’illuminare con squarci di improvvisa consapevolezza il proprio stesso vuoto. Queste delicate partiture verbali lasciano ai registi che le mettono in scena un’impegnativa libertà. Qui Aldo Cassano di Animanera si muove con intelligenza tra suggestioni di sapore buñueliano e trovate pop, ben supportato nel suo disegno dagli ottimi Matteo Barbè, Natascia Curci, Nicola Stravalaci e Debora Zuin. Uno spettacolo, a suo modo, edificante. Una piccola vendetta italiana contro la Famiglia, che ovviamente ne uscirà più forte di prima – fino alla prossima commedia.

persinsala.it - Filippo Pinò Assistendo a uno spettacolo come questo viene da esclamare: finalmente! Finalmente una rappresentazione intelligente di una problematica che ogni tanto si perde nella chiacchiera da bar, ma che in realtà costituisce uno dei nodi cruciali della società italiana. Efficaci le scene, eccellente il testo di Magdalena Barile, che fotografa a perfezione la realtà familiare attuale in Italia, fantastica la regìa di Aldo Cassano. Nota di merito anche per gli attori, Debora Zuin, Natascia Curci, Nicola Stravalaci, Matteo Barbè: più che mai calzanti nei loro ruoli e bravissimi nella recitazione. Uno spettacolo completo, insomma, che conquista e fa riflettere, che fa “sgorgare” risate amare, ma che dipinge una realtà caricaturale già esplorata, ma mai con tanta precisione.

teatrimilano.it - Sara TrecateLa forza di Fine famiglia è il geniale testo di Magdalena Barile, diretto, amaro, cattivo, ma con tanta ironia. E' la dimostrazione della possibilità di lavorare sugli stereotipi con freschezza e innovazione. Barile riprende la metafora del non poter uscire, che da Bunuel (L'angelo sterminatore), passando per Emma Dante (mPalermu) è arrivata a rappresentare, dopo l'immobilità della classe borghese rintanata nei suoi riti e nelle sue tradizioni, dopo la sonnolenza del pigro Meridione, le catene della famiglia italiana che ancora oggi, nonostante ci si voglia convincere del contrario, sono impossibili da spezzare. La semplice, ma efficace messinscena lascia al centro quasi sempre Lei, la figura cardine dello spettacolo, la mamma. Sempre indaffarata, con il suo strumento di potere sotto mano, quel televisore/forno capace di evocare anche il suo grembo in cui vengono intrappolati i vari membri della famiglia. E' lei quella calamita che impedisce ai figli di scappare, al marito di allontanarsi. Sarà la forza magnetica dell'amore, ma a dire il vero assomiglia più ad una forza demoniaca, e la versatile Debora Zuin sa infatti essere angelo e strega alternativamente: cucina pozioni magiche in un'enorme ciotola, lancia incantesimi sulla famiglia con le sue torte fatte di amore e scorzetta d'arancia. La compagnia milanese Animanera in versione tragicomica, più comica che tragica, regala risate di gusto. Risate amare, per prendersi un po' in giro, osservando un affiatato cast con buoni tempi comici ironizzare sui soliti italiani mammoni.

iltamburodikattrin.com - Agnese Bellato È la famiglia italiana al centro di Fine Famiglia di Animanera, con le sue ipocrisie, contraddizioni e consolidate dinamiche. La "madre" che usa l'amore come arma di ricatto, che elemosina affetto e complicità nei figli come dovuta ricompensa ai sacrifici di una vita. La "figlia", eterna e irritabile ribelle, dichiarata ex bulimica e autolesionista che vuol sempre creare disagio, per non ammettere di aver solo bisogno di attenzione. Il "figlio", ipersensibile e sociofobico, che fa il supplente a scuola e insegna ai bambini a disfarsi dei genitori, perché – dice lui – solo gli orfani riescono a sviluppare capacità da supereroi. Infine, la figura del "padre": marito infedele, uomo saccente e genitore superficiale, che non riesce a dialogare con i figli, ma si illude di essere moderno perché cerca di far parlare l'inglese alla famiglia. Il testo della giovane Magdalena Barile – terzo lavoro che firma per la compagnia milanese - è acuto, spiritoso e non banale, nonostante il facile rischio di calcare cliché universalmente noti. E il quadro, creato dalla divertente regia di Aldo Cassano, è vicino al pubblico (complici i rimandi sonori del mondo televisivo di vent'anni fa e non solo), coinvolge e crea risate contagiose, puntando con ironia – nonostante l'innocua apparenza – a far riflettere su lati a volte trascurati delle vicende familiari oggi, o comunque a riderne.
La vera protagonista rimane lei, la mamma (una brava Debora Zuin): diabolica e santa, martire e accentratrice, ignorata, bistrattata e tuttavia onnipotente capofamiglia, capace persino di far sparire la porta di casa con una preghiera. È la mamma l'unica disposta a mettere in campo tutto il suo potere pur di tenere insieme il nucleo familiare, nonostante tra loro sembra ci sia solo incompatibilità.

puntoelineamagazine.it - Claudio Elli Fine Famiglia è uno spettacolo sulla dissoluzione della famiglia; nella tagliente e divertente commedia viene dipinto un quadretto familiare nel quale i genitori non sono più capaci di insegnare ai figli come si viva nel mondo reale e i figli non hanno più rispetto per il ruolo paterno e materno[...] Per tutto lo spettacolo si assiste a conversazioni colme di comicità pungente ed emerge uno spaccato familiare nel quale ognuno ha perso il proprio ruolo; la madre è una casalinga indaffarata, ossessiva e soffocante che intrappola nella rilucente casa tutti i componenti della famiglia ai quali ha dedicato le attenzioni sbagliate; il padre è troppo preso dal proprio lavoro per accorgersi che i figli soffrono di un’irrecuperabile mancanza di affetto paterno.[...] Spettacolo piacevole che mette in scena la fine della famiglia istituzionale e dipinge una situazione familiare non così rara in un’epoca moderna e iperattiva come la nostra; si assiste alla disintegrazione dei valori familiari ma ciò che più preoccupa è la scomparsa del rispetto per la figura del genitore, forse anche perché, spesso, i genitori non sono capaci di guadagnarsi la stima dei propri figli.

IL QUOTIDIANO della BASILICATA - Francesco Altavista Matera – Quando il teatro di Milano arriva a Matera: certo ci sono stati grandi spettacoli nella rassegna teatrale 2011-2012 a Matera organizzata dall’associazione “ In compagnia” che venivano dalla città lombarda, ma sono stati spettacoli classici, belli ed interessanti ma non sperimentali. “ Fine Famiglia” , giovedì sera al teatro Comunale di Matera, è stato un teatro innovativo, come respirare l’aria nuova della fermentazione milanese: una vera visione altra da quella tradizionale; altro dalla commedia classica a cui il sud è abituato e che ha amato e ama. Eppure il pubblico materano si è fatto trasportare dalle visioni della pièce in poco meno di un’ora, digerendola con l’aiuto di risate tante incastonate nei tempi perfetti della pièce messa in scena per la regia di Aldo Cassano. La famiglia mostrata in scena è più di una gabbia pirandelliana: ad un padre interpretato magistralmente da Nicola Stravalaci, che con i soldi pensa di aver esaurito il suo ruolo, la madre una straordinaria Debora Zuin appiccicosa e possessiva , la figlia la bravissima Natascia Curci, in cinta e autolesionista e il figlio un ‘instancabile Matteo Barbé con un’omosessualità ancora non ben delineata che crea disturbi sessuali, questa commedia nera aggiunge l’impossibilità di stabilire un ruolo, la fatiscenza della ricerca di un punto di incontro nella comunione e comunicazione di più persone. La definizione più drammatica e allo stesso tempo avvenente del nucleo familiare lo consegna al pubblico il figlio con la voce di Barbé, all’inizio della pièce. “ La famiglia è un deserto”. Certo un deserto di cannibali di sentimento, voraci animali affamati di affetto ma anche di libertà , d’aria personale. Pirandelliana forse anche la decisione di dividere la famiglia da parte dei propri componenti, proprio la sera di Natale ma cambiare un sistema prendendo come vere le regole che lo mettono insieme è impossibile, è così si rivela allo spettatore. La torta finale preparata dalla madre, una Debora Zuin da lode, è la sintesi della crisi familiare, dove persino i tempi di scena diventano succubi della meccanicità, come se a dettare i movimenti fosse un Dio crudele che ubriaco della sua onnipotenza muove i fili. La recitazione si muove quasi grottesca,le parole arrivano come costruite al momento, con timore mascherato da sicurezza. E’ una regia di una precisione spaventosa, i movimenti sono scanditi da musiche stereotipate dalla televisione così da formare in scena sculture dell’assurdo che disegnano paure, conformismi sociali che in scena gli attori con mano meravigliosamente blasfema demoliscono e ricostruiscono con sarcastico animo dissacratorio. Terribilmente vicino ai tempi la costruzione di un piccolo presepe, con la famiglia sacra matrice della famiglia tradizionale, quella che per prima ha creato i fantasmi. L’impossibilità che si mostra apoliticamente alla fine di lasciare il focolare ricorda da una parte le parole di Eduardo, in una commedia tradizionale che ha fatto scuola come “ Natale in Casa Cupiello” , quando Don Luca in fin di vita continua a credere nella sua grande illusione, quella della famiglia. Ed infatti come il maestro, questa pièce “ Fine Famiglia” è un gioco a perdere, “un bambino scopre che il mondo non è il suo gioco”. In altra visione ricorda le visioni avanguardiste di Bunuel con il film “ Il fascino discreto della Borghesia”, un sistema che macina illusioni. Una commedia che graffia profondamente, lascia cicatrici che fanno più bene delle carezze di una madre.