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Osserviamo i nostri riti quotidiani e analizziamo i nostri miti con uno sguardo disincantato attraverso un paio di occhiali speciali. Proviamo ad applicare a noi stessi la logica con cui l’antropologo studiava le società cosiddette primitive e mettiamo da parte il presupposto o pregiudizio etnocentrico della razionalità occidentale. Succede che anche la nostra cultura appare costituita da un insieme di riti obbligatori, necessari, vincolanti, spesso arbitrari e bizzarri.
Riti di consolazione come le pratiche terapeutiche e psicoanalitiche.
Riti cognitivi quali la creazione di stereotipi suglìaltrì, come gli immigrati.
Riti ludici come il gioco e lo sport.
Proviamo a fare una lista delle abitudini più comuni e sacre dell’ultimo decennio: il campionato di calcio, il week-end di Pasqua con relativo corredo di incidenti stradali, il boom della rucola nelle pizzerie, i talk show televisivi, le sfilate di moda, le sedute dallo psicanalista, le sudate in palestra, la chiacchiera razzista sugli extracomunitari, la paura della notte, il misticismo new-age e così via. Per concepire la nostra cultura come qualcosa dìstrano’ siamo costretti ad immergerci nel mondo del quotidiano e quindi a schizzarne fuori.

Lo spettacolo è stato selezionato tra i sei finalisti per la Biennale Giovani Artisti di Sarajevo e vincitore del concorso Scena Prima.
Rappresentazioni:
Carcere San Vittore (Milano), Rassegna Atti Scoperti (Milano), Teatri 90 Danza (Teatro F. Parenti, Milano), Teatri Indipendenti in festival (Forte Prenestino, Roma), Fringe Festival (Teatro Studio di Scandicci), Fringe Teatro Verdi, Barrio’s (Milano).

Credits

Regia e drammaturgia: Aldo Cassano
Con: Enzo Aruanno, Aldo Cassano, Veronica Guzalian, Valentina Malli,  Antonio Merafina, Ginevra Morali, Alessia Morali,
Elaborazioni audio: Luigi Galmozzi
Luci e suoni: Beppe Sordi, Antonio Spitaleri
 

Press

Dal CATALOGO TEATRI 90 (a cura di Antonio Calbi) commento di Antonio Caronia Smitotrito, lo spettacolo sottolinea a partire dal titolo il carattere di impasto, di amalgama dell'esperienza contemporanea, ma non imbocca né l'una né l'altra di due possibili e facili risposte a questa situazione: l'adagiarsi compiaciuto nella beata (e beota) insensatezza di questa esperienza, tipico di tanta produzione del cosiddetto postmoderno, o al contrario il suo rifiuto in nome del richiamo a valori e atteggiamenti rigidamente ideologici.
Qui il giudizio su tanti miti e riti del contemporaneo (il calcio, la moda, i talk show, la chiacchiera razzista sugli immigrati e così via) nasce invece da un rigoroso lavoro di scavo in queste modalità  della vita contemporanea, che proprio per questo non può che rivelare, in prima istanza, un certo grado di partecipazione, di aderenza al materiale su cui si costruisce il lavoro.
E' solo da una controllata immedesimazione in questi stereotipi che i nove attori possono poi ricavare, grazie alla forma e al ritmo che impongono con ferrea determinazione al proprio muoversi sulla scena, lo straniamento necessario per far sorgere nello spettatore, insieme al riso e all'ammirazione per la tecnica attoriale dispiegata, anche la comprensione del meccanismo sociale messo in ridicolo e il sentimento di critica o di rifiuto nei suoi confronti. Duttilità cognitiva e forte risposta etica sono dunque inscindibili in questo spettacolo, che ripropone un atteggiamento fondamentalmente brechtiano, adattato alla mutata situazione del secolo che muore.
Quella che credo non si possa chiamare altro che "coreografia" (anche se lo spettacolo non sembra avere nulla in comune non dico con la danza in quanto tale, ma neppure con le esperienze di teatro danza degli ultimi due decenni), la coreografia, dicevo,è cosa efficace proprio perché rivela una divertente e controllata citazione di stereotipi cinematografici e televisivi che non vengono messi in burletta con una parodia pesante, con un facile ribaltamento di movimenti o di contesti, ma al contrario con tanti piccoli, quasi impercettibili slittamenti di significato, con un montaggio sapientemente ironico e critico. Merito, mi sembra, oltre che delle ottime qualità  e del lungo lavoro di improvvisazione svolto dagli attori, anche della regia di Aldo Cassano, che (penso allo spettacolo Non dimenticar le mie parole) ha rivelato un'analoga attenzione alla microfisica del movimento e della composizione visiva. Ma mentre gli elementi di Non dimenticar le mie parole sono raffinatissimi e struggenti tableau vivant, qui sono invece, grazie all'energia e al dinamismo di questo affiatatissimo gruppo di attori, un'esplosione di movimento, luce e suono che rende con grande vivacità l'essenza di ciò che, in mancanza di un termine migliore, possiamo chiamare "il mito del contemporaneo".

L'Eco di Bergamo - Pier Giorgio Nosari Lo spettacolo non ha un intento satirico esplicito. A un certo punto pero' nello spettatore s'insinua il disagio di chi si riconosce in ciò che vede e ne ammette l'assurdità. è l'effetto del gioco delle forme, che in qualche punto riesce davvero graffiante. Il bersaglio siamo noi, la superficialità con cui accettiamo ogni moda, l'incompetenza volgare della televisione, il vuoto dei riti sociali. Qualche spettatore quasi se ne risente, altri applaudono convinti. In questi momenti lo spettacolo è davvero efficace.